Sono finalmente tornati i Maven, formazione post-rock francese che ho seguito con particolare interesse sin dall’inizio del loro percorso musicale: dalla freschezza inebriante del primo EP del 2014, Staring At Eastern Lights, all’evoluzione che ha portato all’album di debutto, il suggestivo Synesthesia del 2019. Questo lavoro in particolare è riuscito a catturare in pieno l’essenza avvolgente, dinamica ed emozionante che rende a mio avviso il post-rock irresistibile, diventando così una colonna sonora fedele per i miei viaggi e momenti di riflessione nel corso degli ultimi anni. Il secondo disco giunge a quattro anni di distanza dal precedente, e vede l’ingresso in formazione di un nuovo chitarrista, Cyril Brauer. La genesi di questo nuovo full length è da ricercarsi nel periodo di isolamento forzato della pandemia, evento nefasto per la storia dell’uomo il cui unico pregio è stato quello di ispirare moltissime band (soprattutto post-rock); tra questi mi viene in mente il magnifico Rupture dei Lost in Kiev dello scorso anno, che intavolava un discorso dai tratti simili. Il nuovo lavoro dei post-rocker francesi, in particolare, trae ispirazione dal concetto di collassologia. Questa corrente di pensiero sostiene che il collasso della nostra società non si originerà da un unico evento disastroso, bensì dalla presenza di una moltitudine di crisi diverse, e che la totale consapevolezza di questa problematica può fungere da catalizzatore per spingere a compiere azioni di cambiamento e miglioramento. Ed è proprio di questo realismo rivestito di positività che sono imperniate nel profondo le composizioni del disco, il cui emblematico titolo, Aelys, significa “portatore di messaggi”. Secondo la band dunque Aelys è molto più di un semplice album; è un’idea, un concetto, o persino un’entità che trascende i confini del semplice ascolto musicale. Il magnifico artwork, curato da Jouch, ritrae una maestosa balena, che costituisce un potente simbolo visivo di ciò che Aelys rappresenta nel profondo: il contrasto tra la bellezza immacolata del pianeta e la sua intrinseca fragilità, messa a repentaglio dall’uomo. L’imponente cetaceo ha quindi il ruolo di messaggero millenario sul cui dorso, simbolicamente, emergono le cicatrici distruttive della nostra società, insieme alle meraviglie di un mondo in bilico, il cui equilibrio e bellezza possono essere preservati grazie alla consapevolezza.
Ma veniamo alla musica: “Beyond the Limits”, una breve e cinematica introduzione che richiama le atmosfere suggestive dei migliori Sigur Rós, prepara il terreno al primo brano effettivo, “Consumers”. Qui, gli intrecci eterei delle chitarre con quel timido incedere riverberato mi hanno fatto pensare a “Disappointed”, il brano che apriva il sopracitato Synesthesia. La trama del brano si infittisce man mano che i fraseggi minimali si fondono all’intenso crescendo delle percussioni; nella parte finale è come se l’atmosfera stessa venisse consumata dall’interno. Questo mood più teso prosegue con la successiva “Global Warming”, nella quale è sviscerato musicalmente l’ormai (ahimé) noto tema del riscaldamento globale: le onde del mare e il suono della pioggia aprono la strada al fluire del brano, nella cui sezione introduttiva spicca una robusta linea di basso. I riverberi dei piatti della batteria scandiscono l’andamento misterioso di chitarre liquide ed evanescenti, e ben presto l’atmosfera generale si sporca con distorsioni più elettriche e pesanti che contrastano la natura sfuggevole della serie di riff in tremolo tipici del post-rock; la successiva ed inevitabile discesa nel caos sonoro traccia un forte parallelismo con la sofferenza che sta vivendo il nostro pianeta. La chitarra in slide e il pianoforte posti in chiusura dipingono un’atmosfera malinconica e solitaria alla quale però si affianca un tenue filo di luminosità: le sporadiche note di chitarra acustica suggeriscono un epilogo radioso, tracciando la consapevolezza che le cose possono migliorare. La breve parentesi ambient di “Deep Sea Garden” ci immerge negli eoni senza tempo dei fondali oceanici: effetti sonori che assomigliano ai versi delle balene ci avvolgono, e chiudendo gli occhi sembra quasi di percepire il mondo sottomarino muoversi a rallentatore, come in un documentario. Questo viaggio senza tempo introduce “Biodiversity Arks”, dove le texture immacolate e la drum machine evocano l’atmosfera di un brano di Jon Hopkins in salsa post-rock. Il tema di “Biodiversity Arks” è appunto la biodiversità, e questo è riflesso nei delicati fraseggi iniziali delle chitarre, con cui i francesi descrivono il perfetto equilibrio di un ecosistema: ci si perde infatti in scenari acquatici, sospesi e delicati, immersi nella meraviglia delle note di chitarra e degli effetti. La sorpresa arriva a metà, con l’ingresso del sassofono di Lucas Lachini, che ha anche contribuito alla composizione del brano. È uno strumento non molto convenzionale per il genere, e qui aggiunge un sapore molto originale al tappeto sonoro, soprattutto quando le sue note possono sprigionare tutta la loro gioiosa intensità in un crescendo quasi virtuoso. La successiva “Justitium” si apre con una potente esplosione chitarristica in cui le stratificazioni elettriche descrivono la crisi sanitaria degli ultimi anni attraverso una tensione costante: un persistente riff dai tratti post-metal a sinistra funge da pilastro portante su cui si librano i fraseggi dell’altra chitarra, anch’essa deliziosamente satura (i toni delle chitarre sono un altro elemento di spicco dell’intero album). Il bridge centrale richiama alla mente gli If These Trees Could Talk, con quel fraseggio pulito solitario e magnetico a sinistra che si ripete incessantemente; il climax che si crea quando viene raggiunto dalla chitarra riverberata a destra culmina in una parte finale carica di tensione, che mi ha fatto tanto pensare a “A Beautiful Collapse” dei We Lost The Sea. L’intermezzo a base di campionature di voci e registrazioni ambientali della successiva “Monetary Suicide” precede “War vs War”, brano che dipinge i conflitti geopolitici che hanno segnato la storia moderna. I dialoghi tra le chitarre, collocate ai lati opposti del panorama stereo, infondono un senso drammatico al paesaggio sonoro, che si evolve grazie ad arpeggi sempre più incalzanti. L’atmosfera si intensifica ulteriormente attraverso schitarrate più incisive che contribuiscono a genere una crescente tensione, in linea con il concetto di divisione alla base di un conflitto, di qualsiasi tipo. La calma contemplativa e rigenerante dei fraseggi iniziali diviene ben presto un lontano ricordo, sostituito gradualmente dal caos urgente che caratterizza la conclusione di uno dei pezzi più incisivi del disco. Dopo crisi sanitaria e guerre, il concept prosegue con l’annoso ed attuale tema dell’uso smodato delle ricchezze naturali del pianeta: l’Earth Overshoot Day (in italiano Giorno del Superamento Terrestre), è il giorno in cui l’umanità consuma tutte le risorse della Terra per quello stesso anno. Nel 2023 è stato il 2 agosto; una proiezione allarmante suggerisce che, continuando su questa traiettoria, intorno al 2050 l’umanità consumerà il doppio di ciò che il pianeta può generare. La traccia omonima, “Earth Overshoot Day”, si sviluppa con un’atmosfera minimale, sostenuta da un leggiadro pianoforte e da un beat molto essenziale in delay, intervallato da transizioni sonore. Qui i Maven traducono il concetto in musica, dipingendo un paesaggio sonoro ambient per gran parte del minutaggio per poi far confluire drasticamente il tutto in un repentino cambio di tensione, riflettendo il momento in cui le risorse si esauriscono (un parallelo incisivo con l’atteggiamento della maggior parte dell’umanità verso questo tema di vitale importanza). Un sinistro riff assume il controllo di questo drastico cambiamento tonale, trascinando il brano in un crescendo classico di batteria, frenetico e asfissiante, interrotto bruscamente da un ticchettio di orologio. Aelys giunge alla sua conclusione con la dolce e eterea melodia di “Neverending”, un brano che, per intenti (e titolo), richiama la pacifica conclusione di End degli Explosions in the Sky (“It’s Never Going To Stop”). Le note del pianoforte emanano una dolcezza lenitiva, portando con sé un senso commovente di speranza; si tratta di una melodia che potrebbe risuonare nella mente durante la contemplazione di qualcosa o qualcuno che si ama profondamente. In questo caso, sembra rappresentare la bellezza incontaminata della natura, così delicata, paziente e saggia. La scelta di concludere un disco che abbraccia tutti questi stati d’animo con un brano del genere risulta quella più adatta, sia in termini di disposizione dei brani che di impatto emotivo, regalando un epilogo che invita alla riflessione e all’ammirazione per la bellezza e l’armonia che caratterizzano il pianeta che ci ospita.
Giunti alla fine di questi 36 minuti se ne vorrebbero molti altri, data l’abbondanza di dettagli minuziosi che arricchiscono l’intero lavoro ritagliandosi un posto nella memoria, soprattutto dopo ripetuti ascolti. La suggestiva serenità della melodia introduttiva di “Consumers”, evocativa della nostalgica ricerca di serenità di band come Oh Hiroshima, Glories o Still Motions; l’esplosione di chitarre distorte in “Global Warming”, seguita da quella coda cinematica in stile Pink Floyd; “Biodiversity Arks”, con quelle sottili variazioni negli arpeggi che galvanizzano, tra sintetizzatori retrowave e il tocco unico del sassofono. O anche “Justitium”, dal fraseggio ipnotico e dalla struttura impeccabile, “War vs War” con quei dialoghi drammatici delle chitarre che comunicano a suon di arpeggi sospesi in riverberi impalpabili; “Earth Overshoot Day” ed il ticchettio di orologio posto alla fine del climax, altro elemento che non passa inosservato in termini di intensità. In conclusione, dunque, considero il secondo album dei Maven pienamente promosso. Dopo un EP piacevole e un notevole disco di debutto, i francesi non confermano solo la loro abilità come musicisti e compositori, ma dimostrano anche una spiccata sensibilità, elemento chiave nell’arte di plasmare mondi sonori capaci di suscitare emozioni profonde. Aelys si presenta come un’opera brillante, il risultato di un istinto creativo preciso in cui ogni frammento dei brani si fonde in un mosaico che invita alla riflessione senza opprimere, bensì sensibilizzando con spiragli di dolcezza disseminati anche nelle sezioni più drammatiche. In questi dieci brani emergono oceani di liquida malinconia, avvolti dalla sacrale e rispettosa dolcezza delle meraviglie di un pianeta che dovremmo rispettare e valorizzare. E in questo caso, le melodiose riflessioni che i Maven volevano trasmettere con questo concept possono realmente spingere all’azione.
(Autoproduzione, 2023)
1. Beyond the Limits
2. Consumers
3. Global Warming
4. Deep Sea Garden
5. Biodiversity Arks
6. Justitium
7. Monetary Suicide
8. War vs War
9. Earth Overshoot Day
10. Neverending