Hammock > Love in the Void

Love in the Void è l’attesissimo dodicesimo album degli Hammock, duo musicale costituito da Marc Byrd e Andrew Thompson. In 17 anni di onorata carriera i due hano saputo plasmare un sound unico e riconoscibile; potremmo definirlo post-rock o ambient, ma si tratterebbe di un mero eufemismo che non renderebbe minimamente giustizia all’indubbia bellezza dei sublimi viaggi sonori a cui ci hanno abituato i Nostri. L’ascolto dei loro album traghetta la mente verso una sensazione di pace interiore e di introspezione magnetica, una sorta di balsamo di serenità fuori dal tempo, vera e propria mano santa per questi tempi tumultuosi e caotici. Questo tipo di incantesimo sonoro è possibile solo quando la musica è composta da anime sensibili e talentuose; le esperienze di vita di Marc e Andrew, anche quelle negative, hanno certamente contribuito a forgiare la loro bravura e a rendere i loro dischi degli autentici capolavori in cui è meraviglioso perdersi.

Nelle loro opere più recenti, gli Hammock avevano leggermente trascurato la presenza di batteria e percussioni, preferendo territori più dilatati e atmosferici e privilegiando maggiormente il lato ambient della loro proposta: la splendida trilogia di MysteriumUniversalis e Silencia si focalizzava sull’elaborazione di un lutto importante (il nipote ventenne di Byrd) con trame minimali; il più recente Elsewhere dipingeva scenari rarefatti di solitudine e introspezione post-pandemica. Love in the Void, d’altro canto, prometteva di ritornare ad un sound più fisico e tangibile, con una maggiore importanza data a chitarre, basso e batteria, tornando ad esprimersi perciò con sonorità più tipiche del post-rock, sulla falsa riga di altri album giganteschi della loro discografia; per citarne un paio, Departure Songs del 2012 o Everything and Nothing del 2016.

L’annuncio del disco e la pubblicazione dei primi singoli avevano già scatenato un’ondata di entusiasmo tra gli appassionati, e l’ascolto completo del lavoro ha confermato appieno le già altissime aspettative. Gli Hammock hanno superato le loro già elevate abilità, creando un’opera che è un tributo alla loro maestria sonora e all’evoluzione del loro sound: Love In the Void rappresenta metaforicamente una sorta di liberazione dell’energia trattenuta che, al posto di cedere e lasciare spazio alla tristezza, fiorisce in una melodia euforica, brillante e piena di vita. È un album che ribolle di una passione ardente, risvegliato dal bisogno di liberarsi dalle frustrazioni e dai rimpianti. Le composizioni risuonano del profondo desiderio di guardare al futuro con coscienza, vivendo appieno il presente e apprezzando i legami significativi che danno valore alla vita. Con 13 tracce per un’ora e 12 minuti di durata, l’album scorre come un fiume in piena, trasmettendo vibrazioni meravigliose che imprimono un solco duraturo nell’anima. Love in the Void è stato registrato a Nashville e co-prodotto con l’ingegnere nominato ai Grammy Chad Howat. L’album vede la presenza di Christine Byrd (Lumenette) e della sua voce eterea, oltre alla collaborazione di Matt Kidd (Slow Meadow) per gli arrangiamenti degli archi, di Ellen Story per violino e viola e di Jake Finch per ciò che riguarda la batteria. Relativamente al concept alla base dell’opera, Byrd ha detto: “La vita a volte può sembrare vuota, ma ci sono quei momenti in cui tutto sembra attraversato da una bellezza ineffabile… del tipo che ti toglie il respiro o ti lascia con un groppo in gola. Invece di vedere il vuoto come una cosa negativa, può rappresentare il punto di ingresso per l’amore. Forse se tutti potessimo riconoscere il nostro vuoto interiore, potremmo imparare a essere più vulnerabili l’uno con l’altro. Per amarci l’un l’altro in modo migliore, e fare dell’amore un verbo. Quando scegliamo di amare nel vuoto, ci scegliamo l’un l’altro.” Il duo ha descritto il disco come “il loro album più rumoroso ad oggi”: sebbene la pasta sonora sia innegabilmente Hammock, ci troviamo davanti ad un’opera eccellente in cui brillano chitarre shoegaze, con moltissimi crescendo di matrice post-rock ed una batteria molto presente e importante in termini di composizione. In questo nuovo album, il loro dodicesimo, il duo ha saputo mantenere intatta quella sensazione di magniloquenza orchestrale che li contraddistingue, pur esplorando una forma più classica e convenzionale della canzone; il risultato è un’opera di rara bellezza, in cui il post-rock strumentale, l’ambient e la neoclassica si fondono armoniosamente creando un suono unico ed ipnotico. La batteria enfatica e le chitarre assumono un ruolo di primo piano, donando al disco una forza e una fisicità notevoli; la fluidità delle tracce e la loro capacità di restare impresse nella mente creano un’esperienza musicale intensa e coinvolgente, che abbraccia al contempo audacia e vulnerabilità.

La traccia d’apertura, “Procession”, è un elegante brano introduttivo che richiama le terre sonore ghiacciate e fuori dal tempo di () dei Sigur Rós. L’atmosfera onirica e sospesa rappresenta un invito a scoprire il mondo sonoro che segue, e ci prepara all’emozionante viaggio musicale che ci aspetta. È però con “Love in the Void” e la sua incantevole eleganza che ha inizio l’esperienza musicale vera e propria; è tra i delicati colpi di soffusa e raffinata batteria ambient, su cui una chitarra dolcemente plasmata intreccia trame nostalgiche, che ha inizio la vera magia. Con il progredire del brano, si ha un aumento di intensità, grazie al fraseggio riverberato della chitarra che si fa sempre più incisivo e pungente, elevando la composizione verso un culmine che esplode in un’esplosione gioiosa; l’anima vibra con colori e raggi di luce che abbracciano il vuoto, illuminando ogni pensiero e lasciandosi dietro una scia di pace e serenità, come se fossimo stati avvolti da un abbraccio caldo e protettivo. “UnTruth” è una simbiosi perfetta tra i generi ambient e shoegaze indie. La traccia è caratterizzata da chitarre acustiche che pennellano ritmiche leggere, voci che fluttuano in riverberi rilassanti e melodie calde e luminose che scaldano l’anima; il tutto costituisce un’introduzione azzeccata alle malinconiche emozioni che verranno evocate dalla canzone successiva, “It’s OK To Be Afraid of the Universe”. Gli Hammock sanno come giocare con le emozioni dell’ascoltatore, e qui costruiscono una sensazione di enorme nostalgia che tuttavia trasuda determinazione e ottimismo. In questo brano, la maestria compositiva degli americani riesce ad evocare uno scenario che riempie il cuore di una sensazione di calore e consapevolezza, permettendoci di afferrare con mano ciò che vorremmo per il nostro futuro: l’ascolto ci conduce in un viaggio fantastico, tra vasti orizzonti e paesaggi da sogno. È come se potessimo spiccare il volo e solcare i cieli, senza confini e limiti, per raggiungere l’essenza più profonda dell’universo. Le nostre anime si fondono con l’infinito e la pace interiore diventa una realtà tangibile. Senza arrenderci, continuiamo ad avanzare con lo sguardo rivolto al futuro e con la consapevolezza che ogni esperienza è un dono prezioso. In questo viaggio senza fine, scopriamo la vera essenza della vita e la gioia di esistere. Questa gioia è sapientemente tratteggiata in “Release”, che riassume al meglio la tradizione del post-rock in salsa Hammock: il brano, che cresce di intensità come uno tsunami di emozioni, trascina l’ascoltatore in un’esperienza euforica e rigenerante. La batteria martella con forza, consentendo alla chitarra di intrecciare una melodia incantevole, e mentre la musica scorre, la mente è invasa da immagini che rievocano ricordi, sogni e speranze disseminate tra gli spiragli di un ritmo pulsante e pieno di vita. Quando improvvisamente la musica si interrompe, ci si ritrova con il fiato sospeso e con un senso di vuoto che è difficile da descrivere a parole: è come se la musica ci avesse invitato ad immergerci nell’oceano delle nostre emozioni, per poi lasciarci navigare da soli in questa vastità. Eppure, in questo silenzio apparentemente vuoto, ritroviamo una tranquillità interiore e una forte sensazione di pace e sicurezza. La successiva “Gods Becoming Memories”, dal titolo assai affascinante, cattura l’ascoltatore con la sua atmosfera malinconica e profondamente evocativa. Gli echi dei Sigur Rós di () sono evidenti anche qui, e le sensazioni simili a quelle della prima traccia “Procession” creano un’unità narrativa all’interno dell’album. La delicatezza della melodia e della strumentazione musicale rende “Gods Becoming Memories” un momento di profonda introspezione e riflessione all’interno del disco; la chitarra distorta e i colpi della batteria a metà brano creano un’atmosfera intensa e potente, con un ritmo essenziale che conferisce alla traccia una sensazione di solennità. Questo contrasto tra la potenza della chitarra e la semplicità del ritmo della batteria emoziona profondamente, per poi sfociare in delicate ed azzeccate note di pianoforte poste in chiusura. Brani come “I Would Stare into the Sun with You Forever” e “Absorbed in Light” ci incoraggiano a prendere una pausa, guardare oltre la naturale superficie delle cose e scoprire a fondo il mondo che ci circonda. La luce è ovunque, anche se spesso la diamo per scontata. Questi brani ci invitano ad osservare, sperimentare e apprezzare la bellezza nascosta che si trova in ogni momento della nostra vita, e ad immergerci nella suddetta luce. Anche “Undoing” si muove sugli stessi binari: la voce effettata e riverberata guida un brano che presenta una struttura più pop, ma che non manca di tenere alto l’interesse con sezioni gioiose e un suono moderno. La rassicurante presenza dei cori e l’utilizzo di un delay dalle tante ripetizioni sulle voci conferiscono un tocco quasi primordiale ed alieno alla melodia principale. In questo modo il brano riesce ad essere sì familiare, ma anche a stupire. In “Will We Ever Be Ourselves Again”, gli Hammock esplorano il tema dell’autenticità e della riconnessione con se stessi. La composizione evoca un’atmosfera malinconica e cinematografica grazie all’effetto combinato delle percussioni lente, della melodia della chitarra e degli archi, che la enfatizzano ulteriormente. Il brano esprime un forte senso di emozione che tocca la profondità dell’anima, facendoci interrogare sulla nostra capacità di superare le difficoltà della vita riscoprendo veramente la nostra autenticità interiore. La musica scorre con la delicatezza della rugiada in una fredda ma soleggiata mattina invernale, creando un’armonia e una fluidità che sono avvertibili in ogni nota. Tutti gli elementi musicali – dalle percussioni lente e sagge alle linee melodiche della chitarra, dai cori agli archi – lavorano insieme per creare un’esperienza di estatica bellezza. “Denial of Endings” e “The End Is the Beginning” conducono l’album verso una conclusione pacifica. La prima ci trasporta in un mondo sonoro caratterizzato da delicate atmosfere ambient, con un’armoniosa fusione di voci maschili e femminili che richiamano lo stile shoegaze, evocando al contempo l’essenza eterea dei Slowdive e la dolcezza soffusa dei Beach House. Con la sua combinazione di riverberi accoglienti e tonalità morbide, questo brano ci invita a fluttuare in un’oasi di pace e beatitudine. La seconda traccia, invece, trasmette una forte sensazione di compimento e soddisfazione, grazie alla serenità che traspare dalla ogni nota di chitarra e alla pace immacolata che regna sovrana nella melodia.

In conclusione, gli Hammock con Love in the Void hanno superato ogni aspettativa e ci hanno regalato un’esperienza musicale stupenda. Il loro sound distintivo non ha subito grosse evoluzioni di sorta, anche perché di fatto tornare ad abbracciare sonorità di un altro periodo della propria carriera non è propriamente una forma di evoluzione. Eppure in questo caso è così, perché gli americani hanno perfezionato una loro sfumatura sonora, avvicinandosi alla perfezione e confermando di saper scrivere dischi perfettamente a fuoco, implacabili nell’insinuarsi con dolcezza nel cuore di chi ha avuto la fortuna di ascoltarli. In questo lavoro si sente forte la loro ricerca della luce e della positività, con brani che ci incoraggiano ad apprezzare e sperimentare le sfumature di ciò che diamo per scontato. Il disco è un’esplosione di emozioni, che scorrono con delicatezza e un perfetto senso di coesione; nonostante la sua durata impegnativa, non ci si stanca davvero mai di ascoltarlo. Love in the Void entra in pianta stabile tra i migliori lavori mai realizzati dagli Hammock: si tratta di un’opera d’arte imprescindibile ed avvolgente che lascia completamente estasiati.

(Hammock Music, 2023)

1. Procession
2. Love in the Void
3. UnTruth
4. It’s Ok to Be Afraid of the Universe
5. Release
6. Gods Becoming Memories
7. It’s in This Lie
8. I Would Stare into the Sun with You Forever
9. Undoing
10. Absorbed in Light
11. Will We Ever Be Ourselves Again
12. Denial of Endings
13. The End Is the Beginning

8.5