I Nordic Giants sono uno dei gruppi più interessanti degli ultimi anni. Symbiosis è a tutti gli effetti il loro secondo disco, dopo A Sèance of Dark Delusions del 2015 e Amplify Human Vibration, colonna sonora di un documentario realizzato da loro stessi. La musica della band, di cui non si conoscono i veri nomi, è a mio parere unica: una sorta di post-rock ambient strumentale non convenzionale, in cui trovano spazio atmosfere variegate e multiformi di luce e ombra, tra sintetizzatori analogici vintage, percussioni ed una moltitudine di suoni particolari e ricercati. Nel complesso e poliedrico mondo musicale del duo, nelle misteriose figure di Rôka e Löki, trova spazio una proposta estremamente cinematografica tanto nelle atmosfere quanto nel dinamismo delle tracce, sempre ipnotiche sia nelle sezioni più ambient che in quelle più esplosive ed energiche. Riff e fraseggi all’apparenza semplici nascondono strati ed elementi di cui si viene a conoscenza solo dopo molteplici ascolti, quando la musica ha stabilito quel legame emotivo con l’ascoltatore. Minimalismo sonoro e sezioni grandiose convivono in brani la cui linfa vitale e scopo ultimo è quello di suscitare emozioni profonde. Quello che personalmente mi affascina di più della musica dei Nordic Giants è questa abilità nell’esprimere una sensazione ipnotica alla musica: la catarsi emotiva dei pezzi riempie sempre il cuore nel momento giusto; i brani trasudano colori e spazi sconfinati, per quella che può essere definita una colonna sonora per viaggi mentali profonda, melodiosa e ancestrale. La musica di questa band misteriosa, che spoglia la propria offerta dell’ego dell’individualismo, abbraccia e dipinge l’umanità intera e il concetto di vita fino alle sue più profonde radici. I loro dischi funzionano perché permettono di stabilire una connessione emozionale diretta e duratura: i brani restano in mente e scavano un solco profondo nell’anima, consentendo di scoprire piccoli dettagli ad ogni ascolto. Da un punto di vista musicale lo stile della band è subito riconoscibile, e il fattore che risalta subito è la maggiore importanza attribuita al pianoforte all’interno delle composizioni, per certi versi più semplici in termini di costruzione, ma non meno complesse e piene di sfumature, transizioni e diverse fasi amalgamate con sapienza. Le otto tracce che costituiscono questo Symbiosis sono di squisita fattura, ognuna fondamentale nel tratteggiare la narrazione del lavoro e va detto subito: sono tutte meravigliose.
Nel momento in cui ci si approccia al disco ci si sente immediatamente avvolti dall’atmosfera della traccia di apertura, “Philosophy of Mind”, dove lo spoken word (uno dei marchi di fabbrica del duo) induce l’ascoltatore a riflettere sulla natura della mente, mentre un tappeto sonoro si dispiega gradualmente con l’aggiunta delle immancabili percussioni cinematiche e di un’atmosfera di ambient etereo che viene arricchita dalle note di pianoforte, protagonista indiscusso del lavoro nella sua interezza. Oltre alla suddetta “Philosophy of Mind”, “Anamorphia” e la sua parte finale è pura ascensione sonora, con il pianoforte che descrive fraseggi immediatamente riconoscibili in una colorata atmosfera in cui risaltano l’elettronica dei sintetizzatori e le percussioni imparziali, solenni e forti. Sempre al pianoforte è affidata l’intensità emotiva di “Hjem”, un brano splendido e nostalgico: mi ha fatto pensare ai Sigur Rós, soprattutto nel modo in cui il minimalismo del passaggio sonoro si tinge di grandiosità trasmettendo un connubio perfetto tra gioia e malinconia. “Faceless”, con il contributo alla voce di Alex Hedley, è un brano che all’apparente semplicità iniziale affianca un tipo di emozione viscerale, nelle ruvide linee vocali accarezzate dal piano. Descrive uno scenario molto malinconico e le percussioni, in secondo piano per tutto il pezzo, hanno la funzione di traghettare la sezione finale in un grandioso rilascio catartico, che vede la presenza di un assolo di chitarra molto floydiano. Indubbiamente uno dei pezzi più emozionanti del disco; per certi versi mi ha ricordato molto le atmosfere degli ultimi Anathema. Nel paesaggio sonoro pennellato dalla successiva “Convergence” si riesce a percepire la bravura dei Nordic Giants nel traghettare l’ascoltatore in un’introspettiva evoluzione di sentimenti: il graduale dipanarsi della sezione ambient iniziale attraversa sentieri scoscesi per poi librarsi in volo ed infine atterrare in un’esplosione di melodica luce. Il fraseggio pianistico possiede inoltre una ciclicità notevole; al ripetersi dello stesso si aggiungono sempre più elementi, e proprio nel momento in cui la melodia diventa familiare irrompe un meraviglioso assolo riverberato, che destabilizza e affascina al contempo. Le emozioni sono garantite anche e soprattutto quando il brano sembra giunto alla fine e invece ritorna, con irruenza e maestosità, a riempire la mente e le orecchie di bellezza, di colori, di vita. I brividi proseguono con “Spheres”, brano etereo in cui la voce di Freya, ipnotica e suadente, infonde sensazioni di meraviglia ad una composizione strutturata sull’accoppiata di pianoforte e batteria. Non ci sono esplosioni a destabilizzare la mente qui, quanto più una forte componente emozionale tanto nel cantato quanto nei vocalizzi. Ogni elemento è al suo posto per descrivere un’estasi antica e profonda, che continua anche nella successiva “Spires of Ascendency”, una gemma delicata e potente, dai picchi emotivi di rara intensità. È impossibile non trovarsi a riflettere durante le ultime note alte di pianoforte, per quello che è uno dei picchi più alti di tutto il lavoro. “Infinity”, la traccia finale, ha forse il titolo più azzeccato di tutte: dentro questa meraviglia si respira la grandezza del cosmo. È un brano in cui fluttuare e perdersi ogni volta, in cui gli elementi ripetuti di una chitarra slide molyo floydiana fanno pensare a certe composizioni della colonna sonora di Interstellar di Hans Zimmer: è musica potente, attraverso la quale sembra possibile percepire ogni atomo dell’universo perdendosi nelle note gentili di pianoforte, nella bellezza dei pad, nella marcia delle percussioni che si affacciano da zone inesplorate dell’universo, in una pioggia infuocata di emozioni che si accumulano ed esplodono come la lava di un antico vulcano. C’è un senso di completezza e nel crescendo finale sembra di osservare il dipanarsi delle ere geologiche e dei fenomeni a cui l’uomo non sa dare spiegazione, oltre alla natura misteriosa ed eterna della mente ed alla scintilla vibrante che rende tale la vita. È impossibile descrivere il concetto di infinito per definizione, ma questo brano a mio parere ci si avvicina moltissimo.
In definitiva si tratta di un lavoro meraviglioso sia per chi ha avuto modo di emozionarsi con i precedenti lavori della band e sia per coloro che non abbiano ancora avuto questa fortuna. Ho ascoltato questo disco per la prima volta al buio, in cuffia, con un volume generosamente alto e nessuna distrazione: ho provato uno spiraglio colorato multiforme di emozioni che mi è restato a lungo dentro. Si tratta di musica che scava nell’anima, e se se ne fruisce nel modo giusto la gratificazione è ancora maggiore. Symbiosis è un album potente, la cui bellezza luminosa e piena di vita fa emergere emozioni profonde a lungo sopite nel subconscio. C’è un enorme bisogno di dischi così. C’è un enorme bisogno di questo tipo di emozioni: in fin dei conti la capacità di emozionarsi è quello che ci rende umani, e questo album descrive splendidamente la natura umana.
(Kscope, 2022)
1. Philosophy of Mind
2. Anamorphia
3. Hjem
4. Faceless (Ft. Alex Hedley)
5. Convergence
6. Spheres (Ft. Freyja)
7. Spires of Ascendency
8. Infinity