Lost In Kiev > Rupture

Rupture è il quarto album dei francesi Lost In Kiev, formazione molto interessante di post-rock strumentale dalle forti contaminazioni elettroniche. Nei precedenti tre dischi avevano già dimostrato la validità della loro proposta: e questo lavoro, in uscita il 21 ottobre per Pelagic Records, è qui a confermare il talento della band e ad elevarne le caratteristiche. A differenza del precedente Persona del 2019, essenzialmente un concept album focalizzato sul crescente potere dell’intelligenza artificiale e assai ‘sintetico’ nelle sonorità trattate, questo Rupture risulta essere molto più viscerale e di impatto. I parigini hanno registrato il disco dal vivo, traendo l’ispirazione primaria dal cambiamento climatico e dei suoi inesorabili effetti sul pianeta: le sonorità sono più crude ed emozionanti, espresse tramite un’abbondante presenza di muri di suono e esplosioni deflagranti di cinematica energia. I Lost In Kiev nella loro carriera hanno dimostrato di essere una band estremamente abile a raccontare storie distopiche, e in questo album hanno aggiunto sufficienti elementi per reinventare il loro sound rendendolo meno artificioso, allontanandosi un po’ dalle sperimentazioni elettroniche di Persona. Gli scenari che tratteggiano in Rupture sono estremamente nitidi negli intenti: nelle linee di chitarra si percepisce pienamente la sensazione di confusione, di impotenza ed una sorta di preoccupazione introspettiva. Le forti distorsioni e gli incastri con i sintetizzatori futuristici favoriscono il senso di minaccia e di urgenza, e questo tipo di sound è abbastanza universale in questo preciso momento storico.

Rupture è un album creato per esprimere come ci sentiamo riguardo al punto di rottura tra la civiltà moderna e la vita naturale”, ha dichiarato il chitarrista/synth player Maxime Ingrand. “La stabilità del pianeta è appesa ad un filo a causa del consumo eccessivo di materie prime per le attività perpetrate dall’uomo. Molte altre questioni come l’inquinamento, la vita degli animali o il consumo di energia sono a un punto di svolta. Sono cose che ci influenzano e che cerchiamo di trascrivere musicalmente, sia in negativo che in positivo”. Il suono sfaccettato e multistrato partorito dai francesi dipinge uno scenario dalla forte emotività, e questo è chiaro sin dal primo brano: “We Are” stupisce sin da subito per la profonda ed efficace interazione tra sintetizzatori e chitarre. A detta del gruppo l’intento della traccia era quello di descrivere l’incedere di una vita, dalla delicatezza della nascita sino a giungere ad un tumultuoso climax che sta a rappresentare le difficoltà che possono trovarsi sul cammino di ogni essere umano. Il brano affonda le radici nel post-rock elettronico, ma il sopracitato climax ruggisce e tratteggia scenari di psichedelia post-metal. Le nove tracce che costituiscono Rupture si dipanano lungo i cinquanta minuti di durata con un caloroso senso di familiarità e qualche elemento in controtendenza: “Prison of Mind” è la prima traccia dei Lost In Kiev a vedere la partecipazione di un cantante, e non parliamo di uno qualunque: Loïc Rossetti dei The Ocean. L’aggiunta della voce, nelle alternanze tra cantato pulito e più pesante, impreziosisce il brano. L’unico difetto è forse la posizione in scaletta, che non valorizza sufficientemente uno dei brani più compatti dell’album. La successiva “Squaring the Circle” ricorda maggiormente le sonorità di Persona, con dei sintetizzatori retro-futuristici che fanno pensare a Vangelis; la differenza dal precedente album tuttavia è da ricercare nell’immediatezza ruvida del suono, ampliata soprattutto dal contesto di live in studio. “Solastalgia”, il primo brano ad essere stato pubblicato, deve il suo titolo alla filosofia di Glenn Albrecht: significa “stress emotivo o esistenziale causato dal cambiamento ambientale”. Questo pezzo è fortemente rappresentativo del gruppo; ad una parte iniziale onirica e nostalgica, contaminata dagli onnipresenti sintetizzatori, si aggiunge un riff carico di delay per costruire il mood nostalgico del pezzo. È però quando si aggiunge il fraseggio malinconico della seconda chitarra solista, nel riverbero delicato e gentile delle sue note, che si prova la sensazione di nostalgia più forte; il brano comunque si intensifica in modo assai fluido, tratteggiando nel paesaggio sonoro uno slancio ottimistico e luminoso, come fossero raggi del sole che illuminano una vallata nebbiosa. È un brano che in pieno stile Lost In Kiev riesce ad essere al contempo frenetico e rilassante, ed è una caratteristica affine a tutte le tracce. C’è sempre un delicato equilibrio tra le ripetizioni di pattern melodici a cui si aggiungono nuove idee sonore che vanno a completare e intensificare le composizioni in modi estremamente gratificanti: “Another End is Possible”, ad esempio, privilegia la dinamica, con una progressione che tende a far riflettere, intensificandosi in un modo controllato e plasmato dal connubio di fraseggi chitarristici ed elettronica. Il senso di tensione e di grandiosità della parte finale raggiunge un picco emotivo che prosegue nella successiva “But You Don’t Care”. Si tratta di uno dei pezzi più concitati e ottimisti dell’album; è notevole la padronanza dei francesi nel costruire in soli quattro minuti un pezzo così arioso e dinamico. Il delay luminoso delle chitarre, l’elettronica più oscura dei sintetizzatori: tutto convive in un adrenalinico equilibrio carico di urgenza palpabile. Le ultime composizioni presenti nell’album sono quelle dalla maggiore forza: “Digital Flesh” è un pezzo strutturato sul groove del basso che altera gli umori dell’introduzione, prendendosi la scena. I synth e le chitarre vengono ‘controllati’ da queste ripetizioni di note del basso, che resta il protagonista assoluto, mantenendo il mood ancorato a terra. La tensione resta notevole in tutto il minutaggio del brano, che vede nella conclusione al cardiopalma la sua naturale catarsi finale; nella successiva “Dichotomy” è presente un vocoder, perfettamente amalgamato con il paesaggio sonoro del brano, la cui atmosfera di ampio respiro e intensità privilegia comunque un ottimo groove, che sorregge le chitarre pulite e l’inserirsi saltuario di riff più elettrici. La conclusione rallentata e riverberata conduce alla title-track: “Rupture”, il brano più lungo, si prende il giusto tempo per costruire con pazienza la sua impalcatura sonora. Un fraseggio di chitarra malinconico e cadenzato, una batteria essenziale, un’altra chitarra lontana: questi elementi perfettamente amalgamati evocano una forte sensazione di smarrimento. Trovo il brano molto simbolico in relazione al concept del disco: nelle note della chitarra a destra si percepisce un senso di libertà, di leggerezza, laddove la chitarra a sinistra riporta sulla terra ed alla malinconia che ne consegue; come potremmo essere e come siamo, come potremmo vivere e come viviamo, i compromessi che dobbiamo accettare su cui non abbiamo alcuna voce in capitolo. Il mood del pezzo in seguito diventa estremamente dilatato, in uno scenario più scarno ed essenziale: le note dei sintetizzatori e la precisione dei colpi alle pelli conferiscono solennità al brano, che gradualmente torna ad acquisire una notevole intensità satura. L’ultimo minuto è una sorta di dissoluzione pacifica e liberatoria nel nulla: la sensazione è quella di osservare a cuore aperto una bufera che faccia perdere i contorni dell’ambiente circostante, trasmettendo una fortissima sensazione di sollievo, di distensione mentale.

Personalmente, ho trovato questo Rupture talmente avvincente da arrivare a definirlo il miglior disco dei Lost In Kiev. In ogni brano presente in scaletta la band sperimenta sia nelle sonorità che nella struttura dei pezzi: le composizioni sono dinamiche, fresche e esteticamente impeccabili. L’album è autentico e ‘fisico’, e la dirompente energia malinconica che sprigionano queste nove tracce rapirà la mente di chiunque adori lasciarsi trasportare dalla capacità di storytelling che solo un certo tipo di rock strumentale ha dalla sua.

(Pelagic Records, 2022)

1. We Are
2. Prison of Mind
3. Squaring the Circle
4. Another End is Possible
5. But You Don’t Care
6. Solastalgia
7. Digital Flesh
8. Dichotomy
9. Rupture

8.0