Indignu > Adeus

Se fossimo costretti a trovare un pregio alla pandemia e all’impotenza che ha caratterizzato la nostra vita negli ultimi due anni, indubbiamente potremmo citare il fiorire di ispirazione di cui hanno beneficiato i musicisti. Per un genere come il post-rock, di cui l’emotività è elemento cardine, questo si è tradotto in un gran numero di dischi, alcuni più riusciti di altri, atti ad elaborare questo evento anomalo e imprevisto capitato nelle nostre vite. Il nuovo album dei portoghesi indignuadeus (addio in portoghese), si prefigge lo scopo di archiviare definitivamente il dolore e il lutto, per dare il benvenuto ad un nuovo ritrovato senso di tranquillità e serenità nell’affrontare una nuova fase di vita. Le cinque tracce che costituiscono il lavoro perciò hanno una sorta di funzione catartica nell’abbracciare una rinnovata sensazione di speranza in contrapposizione ad una una fase più oscura e dolorosa.

In piena tradizione post-rock, i 41 minuti di durata si snodano in un numero esiguo di tracce; cinque, per la precisione, di cui soltanto due con una durata più breve. Le altre tre oscillano intorno ai dieci minuti, con “devolução da essência do ser” che dura 14 minuti. Quest’ultima, seconda in scaletta, è una vera e propria suite; è preceduta da “a noturna”, che con le sue batterie riverberate costituisce una sorta di prologo e di introduzione agli umori del disco nella sua interezza. La sopracitata “devolução da essência do ser”, il cui titolo bellissimo si traduce in “restituzione dell’essenza dell’essere”, è probabilmente il migliore tra i brani di questo adeus. Inizia in modo sommesso, con un’atmosfera che rimanda ai We Lost The Sea di Departure Songs: una chitarra solitaria decanta fraseggi malinconici e introspettivi, con un basso molto essenziale che mantiene alta la tensione. Le vibrazioni di questa sezione sono molto cinematografiche e il connubio chitarra e synth-pad in sottofondo descrive una rarefazione intrisa di nostalgia. Soltanto all’ingresso della grancassa e della batteria il brano si intensifica, con una sezione ritmica più protagonista: paesaggi sonori misteriosi e tesi all’inverosimile crescono di forza e vigore tramite distorsioni più metalliche, il cui tono graffiante e vagamente psichedelico descrive una vera e propria sensazione di pericolo. Il momento di massima intensità drammatica cede tuttavia il passo ad una sensazione di serenità e calma a lungo attesa, espressa per lo più dai riverberi sognanti della chitarra solista. I fraseggi ricordano una sorta di versione post-rock dei Pink Floyd, anche e soprattutto nella fase successiva, che acquisisce maggiore ritmo e groove; nel delay sornione della chitarra e nell’intensificarsi dei colpi alle pelli il brano spicca definitivamente il volo. La luce e l’aria purificatrice sono giunte a riempire il panorama oscuro di ossigeno e le possibilità sembrano infinite: l’agognato rilascio della tensione alla fine, tutto a base di nuove linee melodiche distorte, assomiglia ad un necessario risveglio da una sorta di letargo emotivo. La conclusione del brano dilata nuovamente i tempi, stavolta senza la claustrofobia degli inizi: le trame ambient della conclusione e il mandolinato della chitarra calmano gli spiriti ed emozionano. A questo punto della scaletta sembra quasi che i portoghesi stiano osservando quel che è irreversibilmente successo, realizzando che ci sono cose che non possono essere cambiate, in una sorta di presa di coscienza solenne prima di procedere sul proprio cammino. Questo stato d’animo è espresso benissimo dal brano successivo, “em qualquer entranha” (“in tutte le viscere”), un breve e delicato intermezzo pianistico che funge da spartiacque tra le due metà dell’album. Il successivo “urge decifrar no céu” (“il bisogno di decifrare in cielo”) stupisce subito per l’utilizzo del violino, vero e proprio protagonista al posto della chitarra, che è posta in secondo piano. Anche qui una sorta di estasi di contemplazione molto distesa viene sovvertita completamente da una chitarra distorta che scalza tutto, per condurre gli umori ad una sezione con cori di voci bianche, altra sorpresa di questa seconda metà di adeus. Il paesaggio sonoro ricorda gli *shels di Plains of the Purple Buffalo: la sensazione è quella di osservare enormi lande sconfinate ed infinite, vaste praterie in cui la chitarra in tremolo può librarsi ed attraversare tutto lo spazio inasprendo e inacidendo gli umori, affrontando la gravità ed il vento. Il connubio tra la chitarra in tremolo ed il coro dipinge uno scenario quasi ancestrale di liberazione e purificazione: la band, in relazione a questa parte, ha dichiarato che il fine ultimo era quello di descrivere una sensazione di cameratismo e fratellanza tra gli esseri umani, uniti in una sola voce. La loro speranza è che la musica possa rappresentare “un faro per riportarci insieme dall’oscurità che abbiamo vissuto collettivamente negli ultimi due anni”. Questa esplosione si contiene, trainando il tutto in una sezione svuotata con una timida melodia di chitarra. Forse la transizione in questo frangente poteva essere più fluida; il brano giunge comunque alla sua conclusione in modo assai soddisfacente col ritorno del coro e con la leggerezza dei dialoghi tra le due chitarre. “sempre que a partida vier” (“ogni volta che è necessario partire”) è il brano finale: ritroviamo anche qui il violino, come nella traccia precedente. La struttura degli ultimi due pezzi è molto simile, come se entrambi fossero nati da una stessa jam-session compositiva; nonostante l’innegabile somiglianza ritmica, la differenza più marcata è nel tono più trionfale e solenne che si respira in quest’ultimo, al netto degli slanci e dei numerosi rallentamenti. L’unico difetto, a mio giudizio, è che le sezioni ariose che sembrano spiccare il volo sono sempre ‘frenate’ dalle sezioni più dilatate e ambient; indubbiamente si tratta di una scelta anche piuttosto simbolica, ma credo che la composizione avrebbe beneficiato di un rilascio maggiore nelle fasi finali; il brano verso la fine perde un po’ di mordente.

In definitiva comunque si tratta di un disco che funziona: i brani elevano certamente lo spirito, invitando a non ignorare l’importanza del dolore provato ma ad affrontarlo a testa alta, lasciando entrare il proverbiale raggio di luce purificatore tra le crepe di un passato che ci riguarda tutti e che non ci spaventa più; soprattutto se il presente è affrontato insieme, come una comunità. È un disco di unione, di fratellanza e sopravvivenza, e va giudicato nella sua interezza: adeus è un lavoro che, nonostante qualche sbavatura, riesce nel suo intento di intrattenere e suscitare emozioni positive, in un delicato equilibrio tra malinconia e speranza.

(Dunk!records, A Thousand Arms, 2022)

1. a noturna
2. devolução da essência do ser
3. em qualquer entranha
4. urge decifrar no céu
5. sempre que a partida vier

7.0