God Is An Astronaut > The Beginning Of The End

Ogni appassionato di post-rock che si rispetti deve per forza aver ascoltato almeno una volta nella vita l’epocale disco di debutto dei God Is An Astronaut, The End of the Beginning, uscito nel lontano 2002. Nonostante l’album successivo, All is Violent, All is Bright, sia universalmente riconosciuto come il loro lavoro più famoso, The End of the Beginning portò una bella ventata d’aria fresca nella scena: un disco dall’identità così forte e solida aveva già fatto intendere l’importanza della band irlandese nell’esteso ed allora crescente panorama del post-rock strumentale. Le suggestioni sonore di questo album, all’epoca, tratteggiarono quello che sarebbe poi divenuto l’inconfondibile stile God Is An Astronaut: composizioni profondamente emozionanti in cui le chitarre, le note di pianoforte e i sintetizzatori dialogano per costruire meravigliose atmosfere cinematiche che catturano la mente e l’anima. Melodia introspettiva, non c’è dubbio, ma senza disdegnare l’anima più energica e rock. Gli irlandesi hanno dichiarato che al momento della registrazione del disco originale nel 2002 possedevano una strumentazione limitata, e con l’avvicinarsi del ventennale dell’uscita hanno deciso di registrare questo live al Windmill Lane Recording Studio di Dublino. È stata l’occasione ideale per rituffarsi in quelle melodie e migliorarne il sound, attualizzandolo all’ottimo livello maturato nei successivi 20 anni di carriera (riscontrabile soprattutto sul bellissimo Ghost Tapes #10 dell’anno scorso), senza però snaturare la spontaneità degli esordi. Il tutto è riassunto dal nuovo titolo affidato al disco: un simbolico The Beginning Of The End. In questo modo i brani, già ottimi, migliorano notevolmente. Oltre all’inevitabile aumento di energia dato dal contesto live, ascoltando questo album è possibile percepire ancora più chiaramente quell’anima post-metal che negli ultimi lavori dei God Is An Astronaut sta affiorando sempre di più. In particolare, le chitarre sono più massicce e imponenti, ed è meraviglioso il connubio tra gli arpeggi più melodici e l’irruenza di certi riff metal. L’anima dei brani è sempre la stessa, in equilibrio tra dolcezza e adrenalina, ma questo conferisce ancora più potenza alle esplosioni catartiche a cui i nostri ci hanno abituato.

Questa potenza nel suono, d’altra parte, non potrebbe risaltare così tanto senza un mix di livello, e questo live in studio in tal senso offre un ascolto degno di nota: la posizione di ogni singolo strumento è chiara e limpida e permette di fruire del flusso sonoro in un’estasi che abbraccia sia il lato emozionale che quello prettamente tecnico. L’accoppiata “The End of the Beginning” / “From Dust to the Beyond” lascia interdetti per la bellezza e per la pulizia dei suoni, soprattutto per ciò che riguarda la sezione ritmica. Gli intrecci di chitarre sature, il basso prominente, le brillanti note di pianoforte e le bordate post-metal della batteria: ogni elemento è al posto giusto, ogni brano in scaletta risplende di una nuova luce, di un nuovo calore. La maggior parte delle tracce presenti beneficia di questa nuova veste, ma uno in particolare è degno di nota e rappresentativo della bontà del lavoro: “Coda”, uscito anche come singolo, colpisce subito per un tono di chitarra veramente maestoso, che migliora tantissimo la trama costruita dal riff principale. L’atmosfera da sogno della sezione centrale, con il pianoforte e la voce effettata, unisce l’inconfondibile stile God is An Astronaut degli inizi agli umori più graffianti degli ultimi lavori. Il bassista Niels Kinsella riguardo a “Coda” ha dichiarato: “Abbiamo dovuto superare alcune sfide per eseguire “Coda” dal vivo: la versione originale era quasi tutta programmata e aveva grandi parti invertite, e ricrearla in un’esibizione dal vivo ha rappresentato una bella sfida. Abbiamo anche colto l’occasione per espandere la scrittura delle canzoni con più variazioni nella melodia”. E questa cura nel rispettare gli arrangiamenti originali ampliandoli laddove possibile è la carta vincente di questo lavoro. Essenzialmente tutta la riproposizione del disco imprime colori più energici ai brani: le chitarre hard rock di “Point Pleasant” scuotono le fondamenta, la dolce tensione affidata alle note sognanti e sospese di “Remembrance” garantisce catarsi a profusione nell’esplosione satura e tagliente del climax chitarristico, in mezzo a voci bianche che sembrano provenire da un altro universo. La sezione finale di “Route 666” è un vorticoso incedere possente e claustrofobico, con chitarre aggressive e martellanti ed un folle crescendo finale alla batteria.

Per chi scrive, ogni nota del disco originale è una sorta di macchina del tempo carica di emozioni per sempre cristallizzate nelle melodie dei brani: ascoltarle in questa veste, cariche dell’adrenalina di un live, con questo suono più corposo e espressivo è praticamente un sogno, un’immersione sensoriale vera e propria. Tipicamente i dischi dal vivo non sono tasselli fondamentali nelle discografie della band, tuttavia questo lavoro costituisce una bellissima eccezione: dopo vent’anni di carriera, l’identità degli irlandesi è sempre più solida e affermata. Un disco del genere funge da ennesimo promemoria, come se ne servissero di ulteriori, sulla grandezza e l’importanza dei God Is An Astronaut, veri e propri pilastri del genere.

(Napalm Records, 2022)

1. The End of the Beginning (Live)
2. From Dust to the Beyond (Live)
3. Ascend to Oblivion (Live)
4. Coda (Live)
5. Remembrance (Live)
6. Point Pleasant (Live)
7. Fall from the Stars (Live)
8. Twilight (Live)
9. Coma (Live)
10. Route 666 (Live)
11. Lost Symphony (Live)

8.5