I Long Faraway Noise sono abruzzesi e nella loro proposta omonima, un piacevolissimo EP di 4 tracce della durata di un quarto d’ora, ci sono tutti gli ingredienti giusti per farsi notare in modo positivo. Quello che propongono in questo lavoro è una forma di rock strumentale ben suonato che pesca a piene mani dal post-rock classico di questi anni, con la variante del sassofono che infonde alle composizioni un’atmosfera un po’ jazz, a metà tra un viaggio siderale di distopica fantascienza vintage e una calda atmosfera cinematografica
I brani si dipanano con costruzioni pazienti affidate alle ritmiche, e danno il meglio di sé nei climax. Su “Lifeless” ad esempio troviamo un contrasto molto interessante tra la spigolosità finale del crescendo in tremolo della chitarra e il sassofono, che sembrano dialogare e capirsi alla perfezione nonostante parlino una lingua fondamentalmente diversa. Le trame che i Long Faraway Noise disegnano grazie all’apporto del sassofono perciò conferiscono ai brani delle connotazioni progressive donando molta ariosità agli stessi, tutto a favore del fattore immersivo. Forse il brano più caratteristico in tal senso è “‘26 Dystopian Café”, posto in chiusura dell’EP, nel quale convivono sapientemente atmosfere diverse, con incursioni che sfiorano territori post-metal: riff imponenti e granitici si alternano a chitarre più dilatate e inafferrabili catturando l’attenzione per poi virare in un intermezzo più sospeso ed ambient, dove il sassofono mi ha fatto pensare ai Sigur Rós di “Ný batterí” o agli ultimi Talk Talk. In questo tipo di brano una soluzione del genere mi ha spiazzato ma devo dire che ha funzionato molto bene; l’esplosione chitarristica finale che ne consegue trasmette ancora di più in questo senso.
Le idee ci sono, i ragazzi sanno suonare bene: siamo curiosi di sentirli alla prova di un full length, dal momento che questo lavoro scorre via in un attimo, lasciando alla fine un piacevole sapore di incompiuto.
(Autoproduzione, 2020)
1. The Lady Who Saw the Devil
2. Lemuria
3. Lifeless
4. ‘26 Dystopian Café