La scelta del nome per una band è importante per descrivere i territori dove si muoverà e, in tal senso, il moniker del neonato trio svedese dei Barrens è abbastanza indicativo. Il lemma Barrens (territorio, landa) va a descrivere un concetto di spazialità e grandezza assolutamente associabile alla loro proposta. Penumbra è a tutti gli effetti un disco di debutto di musicisti con molta esperienza alle spalle (due membri della band suonavano negli Scraps of Tape) e già osservando l’artwork si può avere un’idea delle tematiche che andrà ad affrontare: si tratta di un lavoro estremamente compatto, che trae la sua ispirazione dal concetto di oscurità, non inteso in senso negativo bensì nella sua declinazione più evocativa e notturna. È un disco che si fa vanto di un certo tipo di oscillazioni e alternanze, tanto nelle atmosfere quanto nel tipo di sonorità, al fine di scolpire le composizioni. Nei trentanove minuti di cui è costituito Penumbra, si può trovare un post-metal strumentale estremamente cinematico: le tracce colpiscono per la lunghezza contenuta rispetto ad altri lavori del genere, tuttavia può essere ritenuta una scelta sensata, se si pensa alla stratificazione presente nei brani. La durata contenuta dei pezzi ne preserva l’impatto, senza renderli confusionari e prolissi, pertanto la soglia d’attenzione rimane sempre molto alta.
La produzione, in pieno stile Pelagic Records, colpisce per la chiarezza di ogni singolo strumento e per la pulizia dell’immagine stereo. Il mastering non a caso è ad opera di Magnus Lindberg dei Cult of Luna; questo senza dubbio contribuisce alla buona riuscita dell’album, che impressiona positivamente sin da subito per la qualità del suono. Si tratta di un lavoro la cui produzione rimane cristallina anche nelle fasi più concitate, laddove le distorsioni delle chitarre sembrano penetrare i tessuti più profondi dell’anima di chi si approccia all’ascolto in esplosioni catartiche che si fanno largo nel buio cercando (e invero trovando) uno strano e piacevole senso di conforto. C’è un utilizzo massiccio dei sintetizzatori, a tal punto che a volte non si riesce a distinguerli dalle distorsioni delle chitarre: si ha come l’impressione che il suono elettronico addolcisca e proietti flebili strati di luce in distese liquide e oscure, che trasmettono vibrazioni dallo spazio più profondo. Nella tracklist, estremamente coesa, quest’alternanza è ancora più evidente: si vedano ad esempio brani come “Grail Marker”, interamente costituito dalla fragilità delle note di un pianoforte immerse in strati di caldi sintetizzatori distorti al quale segue una imponente “Arc Eyes”, in cui ciò che colpisce di più è il suono dinamico della batteria, assente nel brano di cui sopra e pertanto ancora più attesa in termini di rilascio della tensione. “Shifter”, a parere di chi scrive uno degli episodi più riusciti del disco, è uno dei brani più interessanti del lotto. I riverberi e le distorsioni con cui le chitarre tratteggiano trame sinistre e claustrofobiche tra solenni colpi di cassa e rullante sorretti da un basso imponente e drammatico, ricordano un certo tipo di post-punk, per poi contaminarsi di riff più aggressivi di post-metal. Questi ultimi ne veicolano il librarsi nell’atmosfera in un crescendo vorticoso di grande impatto, che sfocia nei due minuti eterei e introspettivi della titletrack. Una costante di tutti i pezzi è l’atmosfera cinematografica: “The Passing” privilegia questo aspetto e sembra descrivere nel profondo un processo di purificazione, morte e rinascita: l’alternanza tra momenti densi di chitarre dai toni graffianti ed altri squisitamente elettronici costituisce il momento più alto del disco in termini di climax emotivo.
In definitiva, si tratta di un lavoro che abbraccia il concetto di cambiamento e metamorfosi attraversando quel buio di cui occorre avere coscienza al fine di osservare la luce; tra chitarre pulite ed altre piene di fuzz, nonché sintetizzatori che colorano i riverberi delle chitarre e chitarre che sembrano a loro volta sintetizzatori. I Barrens dimostrano di possedere quella freschezza compositiva in grado di farli risaltare in un genere che vanta un numero sempre maggiore di proposte. Penumbra è un disco entusiasmante e dai tratti liquidi che grazie alle sue contaminazioni elettroniche riesce a catturare quell’ossimoro che si prova ad osservare una silenziosa e inamovibile distesa di acqua in piena notte: è una bellissima creatura sfuggevole che vive nella strana sinergia tra inquietudine e pace.
(Pelagic Records, 2020)
1. Antumbra
2. Atomos
3. Oracle Bones
4. Grail Maker
5. Arc Eye
6. Shifter
7. Penumbra
8. The Passing
9. Umbra